Le perfide streghe di Windsor
Appunti di regia di Ivan Stefanutti

In un bosco fatato, pieno di magia, con incontri notturni all’ombra di una quercia leggendaria, innamorati tramano per proteggere il loro amore. Spiriti e folletti si radunano al chiaro delle stelle. Una nebbiolina brilla e nasconde i volti, mentre un misterioso cacciatore munito di corna si nasconde. Ha paura. Chiude gli occhi. Non vuole guardare le fate, perché chi le vede muore. Ma appena lo scorgono, le leggiadre fate si rivelano per quello che sono: streghe furibonde. Le furiose streghe di Windsor.

In realtà, l’epilogo, rivelato così, inganna. I fatti raccontati sono molto meno favolosi. Si tratta di una storia colorata che assomiglia a una fantasiosa faida tra parenti. Le tinte sono accese. Falstaff e la sua corte dei miracoli, paonazzi e perennemente ebbri soggiornano presso la Taverna della Giarrettiera, dove le gradazioni calde e le linee curve, rispecchiano la vita godereccia a cui i suoi frequentatori sono votati. E’ un rifugio accogliente che riceve in una discreta penombra, quasi a proteggere gli ospiti dagli sguardi. Questo ventre della balena contiene un altro ventre altrettanto smisurato. Qui ci si riscalda dopo essere stati scaraventati nel canale. Qui non si dovrebbe essere in pericolo, ma non è così perché malelingue e malintenzionati non incontrano mai ostacoli.
Ed essendo Falstaff, in fondo, un uomo positivo, disponibile e soprattutto uno che pensa di essere il migliore in tutto, non concepisce che qualcuno possa tentare di ingannarlo. Nella sua grossa autostima si sente un grande manipolatore, attribuendo a questa sua propensione una natura divina che, discesa direttamente dal cielo, si è riparata nella sua pancia.

Distratto dallo propria prosopopea, non si accorgerà che proprio in casa sua saranno tese trappole, ma a suo danno. Chi la fa l’aspetti: poco prima il ciccione ha cercato di buggerare le signore con due lettere seducenti e ingannevoli. Povero uomo enormemente borioso. Il suo declino è evidente: neppure i suoi scagnozzi cialtroni lo assecondano più. Pensano di aver imparato la sua lezione, confondendo furbizia con infedeltà, e nascondendosi dietro la parola “dignità” che con loro c’entra poco.
Arriveranno addirittura a complottare con chi avevano derubato. Pessimi elementi. Un po’ comari anche loro e troppo simpatici per non essere pericolosi. Non hanno difficoltà a mentire né a cambiar giubba. Sempliciotti, ma come tali, interessati al concreto e se Falstaff non si può più sfruttare, bisogna svenderlo.

In casa Ford la fredda atmosfera cromatica è un po’ aspra. Del resto le persone che vi dimorano non danno l’impressione di bonarietà. Le comari di Windsor non sono molto allegre, sembrano piuttosto bisbetiche e nevrotiche. Non hanno niente da fare se non occuparsi di ripicche. E’ una piccola borghesia, quasi condominiale, annoiata che aspetta di avere una scusa per esternare il loro malessere e farlo pagare al mondo. Alle due donne, non disturba essere corteggiate, ma il fatto di non avere l’esclusiva del ammiratore, indipendentemente da chi sia. Il loro ego è più grande di quello di Falstaff. Nella loro cattiveria, sono disposte ad associarsi tra loro per fargliela pagare. Non contente ad un certo punto, coinvolgono tutto il quartiere nella recita. Una recita che li livellerà e nessuno ne uscirà vincitore.

Ma anche i compari di Windsor non sono immuni dai vizi delle consorti. Ford è permaloso, sospettoso, ombroso e pronto a dubitare della moglie. La gelosia lo acceca, ma per fortuna questa volta non uccide. Queste comari non sono così vulnerabili e sante come la povera Desdemona, protagonista dell’opera precedente di Verdi. Anzi, qui sembra che l’autore abbia deciso di mostrare quanto la società della nuova borghesia sia piccola e fatta di piccole gelosie sovradimensionate. Qui sono i gelosi a creare inganni, cercando di scoperchiare pentole completamente vuote.

Ma cosa vogliono veramente tutti da questo evidente sbruffone? Oltre alle due lettere, non ha ancora fatto niente di grave. Troppa tronfia sicurezza? Forse. Per il momento il suo peccato è solo la frettolosa e ingenua ingordigia. Preso di mira perché nella sua rotondità è il più esposto, il più vulnerabile, il più grosso? Ma questa non è una colpa.

Falstaff compare anche in altre opere shakespeariane e continua a far simpatia, anzi nell’Enrico V si parla della sua morte per crepacuore. E’ un ritratto toccante di un uomo sensibile.
E allora perché questi antipatici abitanti di Windsor si accaniscono?
Non ce l’hanno con lui ma con quello che rappresenta e a cui loro hanno rinunciato in nome di una onorabilità. Queste scelte, però, non hanno portato serenità nella loro vita. Anzi, li condanna ad essere eternamente irrequieti ed guardinghi.
Falstaff, invece, è sceso a patti con l’esistenza ed è divenuto un mascalzone saggio. E, come tutti i saggi e i mascalzoni, non deve dimostrare niente a nessuno. Sir John, mangia, beve e non nasconde la sua pancia. Bella gonfia ed evidente. Una pancia che si è orgogliosamente conquistato dopo anni di vita intensa e scatenata.

Gabbati tutti? Forse no. Falstaff, amaramente, è solo rassegnato.
Ma per fortuna “Bocca baciata non perde ventura” e ci sono Fenton e Nannetta a dare una piccola speranza per il futuro, sempreché, dopo anni di matrimonio e vita in provincia, non evolvano anche loro in una nuova copia di Ford e Signora.