TENEBRE, LACRIME E GRAN FINALE Un funerale notturno nell’antichità. Questa vorrebbe essere una delle tante notti raccontate da Omero, cariche di solenne significato. Una notte in cui le divinità si confondono tra i pastori per parlare direttamente con i mortali. Le tenebre, dalla riva di Stige, scendono nell’instabile sotterraneo dell’Ade, dove ombre, furie e parche si mescolano. Orfeo ritrova il suo ben senza vederlo e per un attimo sembrano respirare la stessa aria nella luce dei Campi Elisi. Unico momento d’illusoria serenità in questa vicenda notturna dove un equivoco può condannare per sempre gli amanti. Senza sguardi, si precipita nel buio di un altro vorticoso labirinto: quello dell’incomprensione. Troppo si dice e nulla è concesso spiegare. Alle attese non giungono risposte. Senza gli occhi dell’amato è inevitabile il fatale malinteso. Il buio si riprende Euridice. Lacrime Lacrime illustri. A questo struggente canto, gli dei, commossi, offrono la possibilità di ricominciare una terza volta. La sublime opera di Gluck racconta un mito fuori dal tempo. Questo che mi ha fatto pensare che le atmosfere ideali sono quelle dell’origine, del mito classico, della Grecia antica. Durante il percorso del racconto, varie forme di classicità riecheggiano da epoche diverse anche se citate solamente con la composizione delle figure sulla scena. Quando giunge il finale, troviamo che l’aspetto archeologico è scomparso ed è diventato neoclassico, come la vicenda del resto, che ha perduto la sua intensità drammatica per diventare uno splendido Gran Finale. |