IL BUIO TRA I MONTI
Appunti di regia di Ivan Stefanutti per Carmen di Bizet

Esiste un luogo della mente con caratteristiche che ce lo rappresentano come reale.
Potrebbe essere ovunque. Sembra una terra disastrata, ferita da guerre civili, inaridita dallo sfruttamento, infuocata dal sole, imbarbarita dall’isolamento. Ma è solo un luogo al confine della civiltà. Da quel punto in poi inizia il deserto, il niente umano.
Qui ci si adatta all’ostilità della natura e degli uomini.
Si vive dove si può. Anche un buco nella roccia lasciato da una cannonata può essere un rifugio momentaneo.
La legalità è gestita solo apparentemente da una milizia presente sul territorio.
I soldati, quelli stanziali, non sono dei migliori. Plausibilmente, sono stati mandati in un luogo così desolato ed ostile per punizione e hanno un’etica molto elastica. E’ loro costume chiudere facilmente un occhio se ripagati.
Sono tutti degli esiliati. Il contesto di lavoro delle sigaraie ricorda più una colonia penale che una manifattura di tabacchi. Tant’è che molte vivono passando dall’apparente legalità diurna all’inequivocabile criminalità delle ore buie. Di giorno riottose operaie, di notte complici dedite al contrabbando ed al meretricio.
Sono tutti poveri perché sono al confino, privati delle loro cose, delle loro abitudini, del loro ambiente. Per sopravvivere s’inventano una società con regole minime.
Non sono lì per caso. Probabilmente hanno delle colpe, ma non sono così manifeste o dettagliate. Sembrano tutti uguali: tutti inclini alla malvivenza.
Esiste comunque una vita sociale. La sera i banditi si riuniscono all’accampamento. Ogni sera la sede si sposta. Meglio non dormire sempre nello stesso posto: le rocce hanno gli occhi e il vento parla.
Al bivacco ci si ritrova. È una zona neutra dove il privato è di tutti e scompare anche quel poco di pudore diurno. Le lunghe ombre, create dal fuoco, disegnano il loro mescolarsi in una torbida promiscuità. Anche i militi gettano la divisa nella notte.
In quest’ambiente tormentato, ogni piccolo miglioramento è motivo di buon umore e occasione per far festa, come l’arrivo di un gruppo di girovaghi circensi. Persone senza fissa dimora, perennemente in fuga con la scusa del mestiere. Escamillo è uno di loro, spavaldo e nomade.
Vi sono persone, invece, capitate in quella landa avvilita senza un motivo evidente. Forse semplicemente per destino.
Il brigadiere Josè è uno di loro. Apparentemente ineccepibile, serio e responsabile, ma basta una cattiva compagnia a far emergere il suo lato oscuro. Con inspiegabile facilità lascerà rovesciare la sua vita fino alla totale rovina. Cederà all’ossessione.
A nulla varrà l’apparizione di Micaela. A differenza di lui, non è un’esule, ma si è spinta, volontariamente, al confine del mondo solo per riprendersi caparbiamente un sogno. Nulla sembra poterla fermare, neppure i banditi della montagna. Ma la sua determinazione non basterà: la storia ha già un epilogo scritto.
Se interrogate, anche le carte sentenziano chiaro. Inesorabili.
Carmen lo sa, ma non vuole dar loro peso. La sua natura è la sfida e come traditrice non può che tentare di ingannare ancora, e se serve, anche il destino,… anche la morte.
È una storia di assillo e di degradazione. Potrebbe essere ambientato anche nei bassifondi di una città metropolitana moderna. Le regole per la sopravvivenza sono sempre le stesse. Nel suo crudo realismo l’amore non c’è. È un aspetto che non viene realmente trattato. Ci sono il tradimento, l’ossessione, la disperazione, la follia, il disprezzo,… il buio.